Ristorante: La filosofia della cucina...
Lo spirito che si trova e che si vive nella nostra Locanda dall'accoglienza al convivio ci è stato trasmesso nel DNA e rinvigorito dalle poppate fin dalla nascita, e via oltre fino a che il latte non è stato soppiantato da tutti quei prodotti casarecci che hanno scandito le nostre stagioni prima di bambini e poi di uomini e donne divenendo, da semplice ma gustosa e genuina alimentazione una filosofia di vita.
Questa ci viene tramandata da una bizzarra coppia, i nostri genitori, che da sempre rispettosi delle tradizioni non solo verbali, si spostavano nei luoghi delle loro famiglie di provenienza, toccando tutti i laboratori del gusto che facevano parte di questi viaggi dall'Emilia-Romagna, Marche, Liguria, terre materne, alle terre dell'Umbria del Lazio, della Campania e Sicilia, quelle paterne chiaramente isole comprese.
Ma ovviamente per giungere in quei luoghi ne attraversavi altri, a cui non rimanevamo certo indifferenti, dapprima per scenari storico-artistici entusiasmanti, per poi finire in botteghe di norcini o di taverne e questo forse, fu il nostro modo di compiere l'Unità d'Italia.
Venticinque anni fa non erano ancora così diffuse enoteche né tanto meno pizze a taglio, il tempo per la preparazione dei cibi allora pretendeva i suoi ritmi ed aveva le sue stagioni.
Il massimo del frugale era magari trovarsi davanti ad un carrettino abbellito alla benemeglio, ma lindo ed essenziale dove potevi gustare un buon panino con la milza come a Monreale, o sul traghetto per Pantelleria incontravi una camioncino "Leoncino rosso" carico di cassettine piccole tutte in legno esile di uva Zibibbo di Pantelleria, piccola, puntuta dorata, ed allora anche se ti sembrava stupido che papà e mamma ci dicessero che fin dagli antichi romani era in uso questo tipo di coltivazione, e ci facessero vedere come le piante delle viti fossero piantate in buche al riparo dei venti marini in un'isola così brulla, con i muretti a secco da cui penzolavano qua e là grappoli di capperi, appena avevamo gustato il primo acino, coglievamo anche se piccoli la differenza e quindi l'unicità di quei gusti, perdonando anche a papà e mamma, tutto questo camminare ed arabattarsi.
Soprattutto mamma era terribile e pericolosa perchè riusciva a farci fare 4 km di camminata montana, in mezzo a quelle stupende abetaie dove potevi scorgere le piccolissime fragoline di un sapore intenso, che crescevano timide in gruppetto, e che noi una volta asaggiatele non ne lasciavamo lì nessuna, ed eravamo anzi dei piccoli cani da riporto.
In quei frangenti il malumore della ciurma cominciava a svanire, per trasformarsi in meraviglia allorquando arrivavamo inaspettatamente sul classico altopiano dolomitico in cui c'era una casa di legno con tutte quelle mucche che gironzolavano tutto intorno ruminando in continuazione, era la famosa "malga" dove mangiavi un bel panino di segale con formaggio di primo sale, e sorseggiavi un latte delizioso, appena munto.
In quel periodo, rispetto ad oggi non vi era affatto la commercializzazione del prodotto e pertanto sotto il profilo umano forse in quel momento non rappresentavamo dei clienti ma bensì dei rompiscatole.
Come famiglia eravamo decisamente controcorrente perchè intorno agli anni 80, venivamo un po' derisi dagli amici che sapevano che i nostri viaggi, come aggravante eravamo camperitsti, quindi con ampie stive, erano sempre improntati all'artistico ed al sapore.
Però quanto erano contenti di mangiare i primi porcini con il cinghiale o mangiare il pane umbro cotto nel forno a legna, per farci una bella bruschettina con l'olio nuovo appena molato a freddo, con quel vigoroso vinello di Montefalco, una bella frittatina con il Tartufo Nero Pregiato di Norcia, con una bella polenta e spuntature, con le spiedate di tordi, grasso e magro e pane casareccio, con trionfi di arrostite da far rabbrividire i più professanti vegetariani, il prosciutto crudo stagionato, che papà abilmente sapeva tagliare con un coltello la cui lama lunga, era larga meno di mezzo cm., per non parlare poi di tutto quello che ci poteva prepare un norcino amico di papà il cui nome è tutto un programma: Napoleone, ancor oggi fornitore dei nostri insaccati, che talune volte riportano nomi che ti inducono a parlare non e propriamente ” in punta di forchetta”, come si usava dire una volta, infatti oltre alle gustosissime salsicce, i budelli salati, la corallina, eccoci con i cojoni del mulo, le palle del nonno, la fiaschetta, li sfrizzoli, la padellaccia, le salsicce secche.
Però devo dire che il rispetto per i vegetariani veniva subito ristabilito con buone zuppe di ceci, di roveja, farro, cicerchia, la risina del Trasimeno e tutti quei prodotti antichi che erano allora domenticati anzi snobbati, per cui anche le lenticchie di Castelluccio Norcia, ne uscivano perdenti per i più, ma coloro che ben sapevano si beavano di tanta ignoranza.
Delle volte a scuola venivamo canzonati dai nostri compagni che durante la ricreazione tiravano fuori quelle elegantissime merendine, tutte incellofanate, e noi magari portavamo la pizza sotto lu focu con prosciutto crudo, erbette di campagna padellate ed una piccola fettina di pecorino fresco, nessuno voleva fare a cambio con noi, perchè eravamo forse di gusti troppo burini, o forse troppo lontani per quel tempo, tempo che invece oggi ci ha ridato l'onore di una giusta scelta, in cui il sapore dei nostri avi, era la somma di umiltà, di sudore, di saperi, onestà verso la natura che rimane sovrana, perchè Vi era e Vi è un tempo per tutto, e a tutt'oggi continua ancora la nostra ricerca che ci aiuta ed entusiasma nel proporre anche la più semplice ricetta perchè fatta con prodotti naturali e genuini.
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